Conosciuta per la fertilità delle sue terre, la Campania felix era il più vicino e principale fornitore di derrate della Roma imperiale. Le complesse vicende storiche che hanno interessato queste zone si riflettono anche nella cucina, con piatti ricchi di origine angioina o Borbonica da un lato, e preparazioni povere riservate al popolo, in cui primeggiano ortaggi e latticini (e pochissima carne). Partendo dal Rinascimento la cucina di corte trovò spazio nei testi del Messisbugo, dello Scappi o del Corrado. In queste opere si trova una grande quantità di ricette napoletane come i maccheroni, i timballi, o ricche ed elaborate soluzione culinarie a base di pesce o cacciagione. Solo dall‘800 con le opere dell’Agnoletti e del Cavalcanti si incominciò a prendere in considerazione la cucina più povera. Esiste poi nella gastronomia napoletana una serie di piatti che, sempre dall’Ottocento, fusero la tradizione della corte francese con gli ingredienti e le usanze tipicamente napoletane. Ne vennero fuori invenzioni molto elaborate e spettacolari, dove spiccavano timballi come i maccheroni al ragù, o il “sartù” a base di riso ripieno con fegatini di pollo, salsicce, polpettine di carne, ecc. Nella letteratura contemporanea Matilde Serao, Giuseppe Marotta, Eduardo De Filippo, o poeti come Salvatore Di Giacomo hanno reso immortali con le loro parole piatti, invenzioni, protagonisti e caratteri della cucina napoletana (e la sua vocazione a riassumere la pure irriducibile complessità dell'intera regione). Il Principe della cucina campana è il Pomodoro San Marzano DOP, impiegato con arte dal ragù alla pizza, ed è stato detto: “a Napoli il pomodoro è una mezza religione”. Glorie della cucina partenopea per la parte di terra sono la pasta e i latticini, mentre per la gastronomia di mare troviamo crostacei e molluschi. Indimenticabili anche i piatti a base di ortaggi dell’agro campano, come la parmigiana di melanzane, i peperoni ripieni; il profumo dato alle pietanze dal Cipollotto Nocerino DOP è un’emozione che non si scorda. La cucina a Napoli è fatta anche di "esterni" e di spettacolo, imperdibili sono i "friggi e mangia", e i vari "passatempi" (frutti di mare, pizzette, tartine, frittelle) offerti in chioschi o bancarelle, pronti per essere consumati in ogni momento della giornata.
Carciofo di Paestum IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non elaborato
Zona: carciofo coltivato in Campania nella provincia di Salerno
Storia: le radici della sua coltivazione vengono fatte risalire al tempo dei Borboni, il cui ufficio statistico già nel 1811 segnalava la presenza di carciofi nella zona di Evoli, l’attuale Eboli, e Capaccio. Le prime coltivazioni specializzate di carciofo sono state realizzate da agricoltori del Napoletano che impiantarono “carducci” di loro ecotipi proprio nelle zone adiacenti ai famosi Templi di Paestum. Ma la vera e propria diffusione del carciofo nella valle del Sele risale intorno al 1929-30, grazie alle vaste opere di bonifica e di profonda trasformazione agraria apportate dalla riforma fondiaria
Metodologia: le caratteristiche commerciali del “Carciofo di Paestum” sopra descritte sono anche frutto di un’accurata e laboriosa tecnica di coltivazione che gli operatori agricoli della Piana del Sele hanno affinato nel corso di decenni. Il clima fresco e piovoso nel corso del lungo periodo di produzione (febbraio-maggio), che caratterizza tale area, conferisce anche la tipica ed apprezzata tenerezza e delicatezza al prodotto
Castagna Montella IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non elaborato
Zona: due terzi della produzione vengono dai territori del comune di Montella, il rimanente invece proviene da altri sei comuni della provincia di Avellino, in Campania
Storia: Secondo diversi autori la coltivazione del castagno in Campania, nell’area di Montella (AV), risalirebbe al periodo compreso fra il VI ed il V sec. a.C. Al tempo dei Longobardi (571 d.C.), invece, sarebbe stata emanata la prima legge per la tutela di questa coltivazione considerata già a quel tempo una preziosa risorsa. La produzione della castagna acquistò ulteriore importanza economica nel XIX secolo con lo sviluppo della navigazione a vapore ed il conseguente flusso migratorio delle popolazioni locali verso gli Stati Uniti e il Canada
Metodologia: il frutto fresco viene conservato tramite “curatura”, vale a dire mediante immersione in acqua a temperatura ambiente per un periodo di 4-8 giorni. Per la castagna allo stato secco, si esegue la tradizionale tecnica dell’essiccazione a fuoco lento e continuato, in essiccatoi su due livelli costruiti generalmente in pietra, in media per 15-20 giorni
Cilento DOP
Tipo: grassi (olii)
Zona: quest’olio è prodotto nel Cilento, zona meridionale della Campania in provincia di Salerno
Storia: l'olivo nel Cilento, terra di miti e sede dell'omonimo Parco Nazionale, ha radici antiche. Recenti ricerche archeobotaniche hanno documentato la presenza dell'olivo già nel IV sec. a.C.. La tradizione, invece, vuole che le prime piante fossero introdotte dai coloni Focesi, una popolazione profuga di origine greca. L’ulivo del Cilento ha ispirato molti poeti, tra cui Ungaretti che scrisse, nel 1933: “ulivi, sempre ulivi! in mezzo sono ulivi, come pecore a frotta...”
Metodologia: la raccolta delle olive deve avvenire entro il 31 dicembre di ogni anno; può essere protratta fino al 30 gennaio solo in presenza di particolari andamenti stagionali e previo atto deliberativo della regione Campania
Cipollotto Nocerino DOP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non elaborato
Zona: questo cipollotto viene coltivato nel territorio di 21 comuni nella provincia di Salerno e dell’area di Pompei e Stabia, in provincia di Napoli
Storia: testimonianze certe della presenza della cipolla nell'Agro risalgono ad oltre 2000 anni orsono: nella Pompei antica, difatti, cipolle locali sono raffigurate nei dipinti del Larario del Sarno, la cappella dove erano custoditi i Lari, gli dei protettori della Casa. La famosa Hippocratica Civitas della Scuola Medica Salernitana, fiorente già alla fine del 1400, nel Regimen Sanitas Salernitanum ne consiglia l'uso. Alla fine dell'800 e nei primi anni del ‘900 gli ecotipi riferibili al "Cipollotto Nocerino DOP" vengono riportati e descritti nei manuali di Agronomia e nei cataloghi delle più importanti ditte produttrici di sementi. Anche dopo la seconda Guerra Mondiale la coltura del cipollotto bianco ha avuto una rilevante importanza nei sistemi produttivi locali
Metodologia: è noto che i terreni dell'agro nocerino-sarnese e dell'area stabiese-pompeiana, per la loro origine vulcanica, sono sciolti, pianeggianti e di elevata fertilità ed essi conferiscono ai prodotti agricoli locali caratteristiche di elevato pregio. È una cipolla a raccolta primaverile, da marzo a giugno, pertanto è utilizzata soprattutto per il consumo fresco non avendo un'elevata propensione alla conservazione
Colatura di Alici di Cetara DOP
Tipo: prodotto ittico derivato
Zona: prodotto della provincia di Salerno
Storia: i romani amavano una salsa a base di pesce, il Garum, denominata dai greci Garros, forse per la qualità di pesci utilizzata per la produzione, che potremmo identificare con le nostre alici. Oggi la tradizione del garum sopravvive nella pregiata colatura di alici campana
Metodologia: Le acciughe, appena pescate, vengono pulite, e sistemate – con la classica tecnica "testa-coda" a strati alterni di sale ed alici - in un apposito contenitore in legno di rovere, il terzigno(un terzo di una botte). Completati gli strati, il contenitore viene coperto con un disco in legno (detto tompagno), sul quale si collocano dei pesi. Per effetto della pressatura e della maturazione delle acciughe, un liquido comincia ad affiorare in superficie: la base della colatura. Al termine del processo di maturazione delle alici (circa 4 - 5 mesi), il liquido raccolto e conservato viene versato nuovamente nel terzigno ove le acciughe erano rimaste in maturazione
Colline Salernitane DOP
Tipo: grassi (olii)
Zona: quest’olio viene prodotto negli 87 comuni della provincia di Salerno
Storia: l’olio extravergine di oliva DOP “Colline Salernitane” ha radici antichissime, in quanto deriva da varietà autoctone, quindi coltivata dall’inizio delle attività agricole dell’uomo in Italia. Notizie certe ne fanno risalire la coltivazione agli antichi Focesi, coloni della Magna Grecia, che cominciarono a diffonderla nella Piana dell'Alento e nelle aree collinari circostanti
Metodologia: l'olio si ottiene dalla spremitura di olive delle varietà autoctone della zona di produzione o di antica introduzione, da sole o congiuntamente: 65% di Rotondella, Frantoio, Carpellese o Nostrale; Ogliarola e Leccino per un massimo di 35 %, mentre è ammessa la presenza di altre varietà locali per un massimo del 20%. La raccolta deve essere effettuata entro la fine di dicembre: può essere protratta solo con atto deliberativo della regione Campania, non oltre il 30 gennaio. La molitura deve avvenire entro il secondo giorno dalla raccolta, per mantenere le qualità sensoriali tipiche del frutto
Fico Bianco del Cilento DOP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non elaborato
Zona: la zona di produzione del "Fico Bianco del Cilento" DOP comprende ben 68 comuni, posti a sud di Salerno, dalle colline litoranee di Agropoli fino al Bussento
Storia: l'introduzione nel Cilento del fico sembra essere precedente al VI secolo a. C. Essa è da attribuire ai coloni greci che in quest'area avevano fondato diverse città. nella metà del 1400 è documentata, nel "Quaterno doganale delle marine del Cilento" (1486), l'esistenza di una fiorente attività di produzione e commercializzazione di fichi secchi, avviati sui principali mercati italiani come alimento di pregio
Metodologia: il "Fico bianco del Cilento" è un ecotipo della cultivar "Dottato", pregiata varietà di fico diffusa in tutto il Mezzogiorno, commercializzato dopo un processo di essicazione. Una preparazione tradizionale ancora in uso è quella che vede i fichi "steccati", infilati cioè in due stecche di legno parallele per formare le "spatole" o "mustaccioli"
Irpinia - Colline dell'Ufita DOP
Tipo: grassi (olii)
Zona: prodotto dell’Irpinia, in provincia d’Avellino in Campania
Storia: introdotta in Irpinia dai romani, l'olivicoltura raggiunse la massima diffusione in era angioina, per poi svilupparsi in quella aragonese (XIV secolo) e consolidarsi definitivamente nell'800
Metodologia: quest’olio deriva per non meno del 60% dalla varietà Ravece e per la restante parte possono concorrere altre varietà locali, quali l'Ogliarola, la Marinese, l'Olivella, la Ruveia, la Vigna della Corte
Limone di Amalfi IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: viene prodotto in tutta la costiera amalfitana, nei comuni di Amalfi, Atrani, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare
Storia: noto anche come Sfusato Amalfitano, pare si sia diffuso sulla costa a causa dello scorbuto, malattia che colpiva spesso i marinai in mare e dovuta ad una carenza di Vitamina C, di cui gli agrumi sono ricchi. Venne infatti decretato dalla Repubblica di Amalfi, nell’XI secolo, che le navi non salpassero mai sprovviste di agrumi a bordo
Metodologia: le piante sono piantate nei tipici terrazamenti, le “macerine”. I frutti crescono sotto impalcature di legno per schermare le piante dalle intemperie. Il limone fruttifica più volte l’anno, un fenomeno chiamato polimorfismo, ma i limoni più pregiati sono raccolti tra marzo e metà estate
Marrone di Roccadaspide IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: prodotto del Cilento, in provincia di Salerno in Campania
Storia: fonti storiche attestano che i primi a intuire l'importanza della coltivazione della castagna furono le comunità dei monaci benedettini che a partire dal X secolo
Metodologia: il “Marrone di Roccadaspide IGP”, dal nome dell’ecotipo da cui deriva, fa parte del gruppo genetico di castagne presenti in Campania riferibili alla cultivar-madre “Marrone di Avellino”. È tra le poche varietà di castagne campane a potersi definire botanicamente e merceologicamente "tipo marrone"
Marrone di Serino/Castagna di Serino IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: prodotto in provincia d’Avellino, in Campania
Storia: i monaci di Cava de' Tirreni, fra il XII ed il XIII secolo, intrapresero un'opera di cura e miglioramento dei castagneti da frutto presenti nelle loro proprietà sparse in Campania
Metodologia: la "castagna di Serino", dal nome dell'omonimo comune, è di dimensioni medio-grandi e di forma rotondeggiante, per lo più asimmetrica, il suo seme è bianco latteo polpa a pasta bianca, soda e croccante dal caratteristico sapore dolce che la rende particolarmente adatta al consumo fresco e alla produzione dei marron glacée
Melannurca Campana IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: questa mela è coltivata in tutta la regione Campania.
Storia: la "Melannurca Campana" IGP è presente in Campania da almeno due millenni. La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l'antichissima legame dell'Annurca con il mondo romano e la Campania felix in particolare. Luogo di origine sarebbe l'agro puteolano, come si desume dal Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Gian Battista della Porta nel 1583, nel suo "Pomarium", scrive che le mele chiamate “orbiculate” dai latini, provenienti da Pozzuoli, venivano chiamate Orcole
Metodologia: L’Annurca è una varietà di mela medio-piccola, lievemente appiattita, dalla buccia rossa a piena maturazione. Uno degli elementi di tipicità è l'arrossamento a terra delle mele nei cosiddetti "melai", piccoli appezzamenti di terreno, sistemati adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici, coperti da aghi di pino, trucioli di legna o altro materiale vegetale
Mozzarella di Bufala Campana DOP
Tipo: formaggi freschi
Zona: prodotto delle province di Caserta, Salerno, Napoli e Benevento, in Campania, di Latina, Frosinone e Roma in Lazio, in Puglia in quella di Foggia, in Molise nel comune di Venafro
Storia: le origini della mozzarella sono direttamente legate all’introduzione dei bufali in Italia. Una delle ipotesi più accreditate sostiene che la diffusione in Italia meridionale sia avvenuta in epoca Normanna. I primi documenti storici che testimoniano come i Monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un formaggio denominato mozza o provatura. Il nome Mozzarella appare per la prima volta nell’”Opera” di Bartolomeo Scappi (1570)
Metodologia: il latte di bufala è più ricco di proteine, di grassi e di calci. La coagulazione è preceduta dall’aggiunta nel latte del siero innesto naturale (detto cizza) proveniente dalla lavorazione medesima del giorno precedente. Dopo alcuni minuti che il latte è rappreso per l’intervento del caglio, si procede alla rottura. La cagliata risultante è lasciata acidificare sotto siero fino a quando sarà definita “matura” o “pronta” per la filatura dal casaro
Nocciola di Giffoni IGP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: l'area di produzione della è concentrata in provincia di Salerno, nell’areale di 12 comuni della valle dell'Irno e nella zona dei Monti Picentini
Storia: la coltivazione del nocciolo in Campania è antichissima. Numerose testimonianze si rinvengono nella letteratura latina, già a partire dal III secolo avanti Cristo. La diffusione di questa coltura nel resto d'Italia sembra essere iniziata proprio a partire dalla Campania, tanto che già nel secolo XVII il commercio delle nocciole aveva una sua rilevanza economica
Metodologia: dalla forma perfettamente rotondeggiante del seme che ha polpa bianca, consistente, dal sapore aromatico, e dalla pellicola interna (perisperma) sottile e facilmente staccabile. E' inoltre particolarmente idonea alla tostatura. È una cultivar medio-precoce, la raccolta dei frutti inizia solitamente già dalla terza decade di agosto
Pasta di Gragnano IGP
Tipo: pasta e cereali
Zona: l’area di produzione comprende tutto il territorio del Comune di Gragnano in Provincia di Napoli
Storia: la produzione della pasta a Gragnano risale alla fine del XVI secolo quando comparirono sul territorio i primi pastifici a conduzione familiare. La storia data l’origine della fama di Gragnano come patria della fabbricazione della pasta al 12 luglio del 1845, giorno in cui Ferdinando II di Borbone concesse ai fabbricanti gragnanesi l’alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe
Metodologia: la semola di grano duro ottenuta viene impastata con acqua. La successiva fase della gramolatura, fa si che l’impasto ben lavorato diventa omogeneo ed elastico; una volta ottenuto l’impasto, questo viene trafilato in stampi, ovvero in “trafile”, cioè utensili esclusivamente in bronzo, che permettono di conferire alla pasta una superficie rugosa essiccazione varia a seconda dei formati e comunque avviene ad una temperatura compresa tra 40 e 80°C. L’elemento finale dell’essiccazione è il raffreddatore che provvede a stabilizzare la temperatura prima di immetterla nell’ambiente esterno
Penisola Sorrentina DOP
Tipo: grassi (olii)
Zona: prodotto di 13 comuni della penisola sorrentina,
Storia: durante la colonizzazione greca, l’intera penisola fu consacrata ad Atena e il sito divenne per secoli meta di pellegrinaggi. I pellegrini acquistavano sul posto l’olio, che si produceva in abbondanza, per farne offerta alla divinità
Metodologia: l’olio “Penisola Sorrentina” DOP si ottiene dalla molitura di olive di varietà Ogliarola o Minucciola. La raccolta deve essere effettuata entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno. Le olive vanno molite entro e non oltre il secondo giorno della raccolta
Pomodorino del Piénnolo del Vesuvio DOP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: prodotto dell’area Vesuviana, in provincia di Napoli
Storia: il pomodorino conservato al Piènnolo o in conserva è una delle produzioni più antiche e tipiche dell'area vesuviana. Le prime testimonianze documentate e tecnicamente dettagliate risalgono alle pubblicazioni della Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Portici del 1885
Metodologia: il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio viene apprezzato sul mercato sia allo stato fresco, che nella tipica forma conservata “al Piennolo”, oppure anche come conserva in vetro, secondo un’antica ricetta familiare dell’area, denominata “Pacchetella”
Pomodoro di San Marzano dell'agro sarnese-nocerino DOP
Tipo: prodotto ortofrutticolo non trasformato
Zona: prodotto dell’agro nocerino sarnese e la valle del Sarno, in provincia di Salerno
Storia: la leggenda dice che il primo seme di pomodoro San Marzano arrivò in Campania nel 1770, come dono del viceré del Perù al re di Napoli. Fu piantato nell'area corrispondente all'attuale comune di San Marzano sul Sarno, dove attecchì bene grazie alla fertilità del suolo vulcanico
Metodologia: la raccolta dei frutti è compresa tra il 30 luglio ed il 30 settembre e deve essere eseguita esclusivamente a mano, in maniera scalare, quando essi raggiungono la completa maturazione ed avviene in più riprese
Provolone del Monaco DOP
Tipo: formaggi stagionati
Zona: prodotto di 13 comuni nella provincia di Napoli
Storia: la tesi più accreditata sulle origini della denominazione si riferisce al fatto che i casari che sbarcavano all’alba nel porto di Napoli con il loro carico di provoloni, per proteggersi dal freddo e dall’umidità erano soliti coprirsi con un mantello di tela di sacco. Una volta arrivati a Napoli, la gente che lavorava al mercato iniziò a chiamare questi contadini, monaci, e di conseguenza il formaggio che essi trasportavano
Metodologia: il latte vaccino viene fatto cagliare e l’impasto risultante viene rotto in grani grandi come chicchi di mais. Successivamente, la cagliata viene estratta dal siero e trasferita in teli di canapa o cestelli forati. Quando la pasta è sufficientemente elastica, si procede al taglio in fettucce di dimensioni variabili e poi alla filatura, fino ad ottenere una forma bombata, che verrà messa in salamoia e poi a stagionare per non meno di sei mesi
Terre Aurunche DOP
Tipo: grassi (olii)
Zona: prodotto della provincia di Caserta
Storia: di certo introdotta in zona dai Romani, si hanno diverse testimonianze di olivicoltura nel casertano: in un suo diario il Marchese Grimaldi parla dell’”Uliva Liciniana”, ovvero l’oliva che i romani chiamavano Licinia, l’odierna Sessana
Metodologia: quest’olio è prodotto con l'impiego di olive provenienti per almeno il 70% dalla cultivar "Sessana", cultivar autoctona di queste zone. La raccolta delle olive, da concludersi entro il 31 dicembre di ogni anno e può avvenire sia manualmente che attraverso l’ausilio di mezzi meccanici. La molitura deve avvenire entro il secondo giorno dalla raccolta